SVILUPPO DEL LINGUAGGIO DEL BAMBINO

Articolo a cura della Dott.ssa Sara Mesce

E’ ormai ampiamente documentato che l’emergere del linguaggio e le traiettorie di sviluppo delle diverse competenze linguistiche sono caratterizzate dalla presenza di una notevole variabilità, che riguarda i tempi, i modi, le strategie di acquisizione ed apprendimento dei bambini (Caselli et all.).

Se però il percorso di crescita di un bambino si discosta in modo significativo da quello dei coetanei, è consigliato accendere un campanello di allarme, effettuando necessariamente degli approfondimenti, per definire i motivi dei ritardi o delle atipie, che si manifestano in determinate acquisizioni.

Che si intende per significativo? Ovviamente non esistono misure esatte, soprattutto quando si tratta di valutare competenze presenti o assenti, come il dire le prime parole, ma abilità che si organizzano progressivamente, come, il saper esprimere un bisogno, il raccontare e farsi capire, ben più difficili da misurare. Nei primi tre anni di vita, rallentamenti di pochi mesi nella crescita possono già definirsi come segni degni di osservazione. Gradualmente, se non si interviene, i tempi di un ritardo potrebbero allungarsi soprattutto se vengono coinvolte, anche indirettamente, funzioni importanti dello sviluppo. 

Le fasi evolutive del linguaggio

Il linguaggio è uno degli aspetti fondamentali della vita di ogni individuo ed una sua corretta acquisizione facilita la maturazione delle abilità cognitive e relazionali. All’interno della variabilità interindividuale è tuttavia possibile individuare nell’ambito comunicativo-linguistico delle fasi evolutive, che il bambino attraversa e che lo portano gradualmente ad utilizzare la comunicazione verbale.

Vi sono dunque tappe del linguaggio utili da considerare e su cui basarsi per lo sviluppo fisiologico del linguaggio di un bambino. In questa cornice, assumono particolare rilevanza i concetti di continuità e variabilità nello sviluppo: le competenze dei periodi precedenti pongono infatti le basi per quelle successive e sono ad esse collegate lungo un continuum, con delle conseguenze “a cascata”.

Le fasi fisiologiche di sviluppo del linguaggio sono quindi:

  1. Lallazione. Il bambino a 6 mesi circa comincia a produrre suoni ripetuti di consonanti e vocali, combinate in sillabe. Essi sono primi suoni, che divertono e stimolano il bambino a continuare nella vocalizzazione.
  2. Comunicazione verbale intenzionale. Verso i 9-13 mesi cresce la capacità di interagire con l’ambiente e le altre persone grazie allo sviluppo parallelo dell’attenzione condivisa. Il piccolo cerca dunque di comunicare, richiamando l’adulto (es. mamma, papà) ed esprimendo i suoi bisogni.
  3. Prime parole. Verso i 12 mesi, il bambino esprime le sue prime parole; progressivamente incrementa il suo lessico, diventando sempre più ricco. In letteratura, infatti, è noto che a 16 mesi il vocabolario medio di un bambino sia di circa 50 parole; in aggiunta, si evidenzia come in questo periodo il piccolo tenda ad esprimersi tramite olofrase, ovvero attraverso l’espressione di una sola parola, che ingloba in sé l’intera richiesta e/o affermazione del bambino.
  4. Boom del vocabolario e prime frasi. Dai 18 mesi, si assiste al fenomeno dell’esplosione del vocabolario. Mediante le stimolazioni relazionali ed ambientali, il bambino raggiunge a 30 mesi circa un vocabolario di circa 150 parole ed incomincia a sviluppare le prime frasi, con accostamento semplice di due o tre termini.
  5. Formazione di frasi complete. Dai 24 ai 36 mesi, la capacità linguistica del bambino si sviluppa con rapida accelerazione, conducendo ad uno sviluppo grammaticale maggiore della propria lingua madre. Questo consente al piccolo di articolare proposizioni dichiarative.
  6. Stabilizzazione espressiva. Intorno ai 36 mesi, la struttura sintattica dei periodi diviene sempre più complessa, includendo proposizioni subordinate. Permangono, tuttavia, ancora lacune grammaticali, come la morfologia flessiva (es. il plurale dei nomi) e la morfologia libera (es. gli articoli, le preposizioni, i clitici, ecc.).

Come riconoscere precocemente un ritardo nello sviluppo del linguaggio (da 0 a 3 anni circa)

Le differenze individuali che caratterizzano lo sviluppo linguistico sin dai primi anni di vita, possono celare condizioni di ritardo transitorio nella comparsa o nello sviluppo del linguaggio, oppure possono essere espressione di un procedere atipico, che può preludere un successivo disturbo della comunicazione e/o del linguaggio. Conoscere le tappe evolutive fisiologiche di sviluppo linguistico permette sicuramente ad un genitore di individuare più velocemente i campanelli d’allarme, predittivi per identificare precocemente situazioni di rischio per un ritardo di linguaggio.

Ecco alcuni indici di rischio:

  • Assenza di attenzione condivisa, per cui il bambino non richiama l’attenzione dell’adulto su un oggetto di proprio interesse (non avviene il fenomeno della triangolazione).
  • Assenza o scarso utilizzo della lallazione canonica (es. ba ba) e variata (es. ba ma) a partire dai 6-7 mesi.
  • Ridotto utilizzo del canale mimico-gestuale (es. sorridere, attuare delle espressioni tristi con il volto, muovere le gambe velocemente per contentezza, indicare, ecc.).
  • Mancata acquisizione di schemi d’azione con oggetti a 12 mesi.
  • Difficoltà nel comprendere il linguaggio adulto, anche per semplici parole e/o ordini che vengono dati dalle figure adulte di riferimento.
  • Assenza o ridotta presenza del gioco simbolico a 24-30 mesi.
  • Difficoltà nell’espressività linguistica per quanto concerne i suoni (o fonemi) del parlato, che possono essere sostituiti e/o omessi. Le tappe indicative dell’evoluzione fisiologica dei fonemi è la seguente (seppur le variazioni individuali siano frequenti):
    • Tra i 24 ed i 30 mesi nell’inventario fonetico di un bambino vi sono: p-b, t-d, k-g, m, n, l.
    • Tra i 30 e i 48 mesi compaiono: s, sci, f-v, ci-gi, z.
    • Tra i 48 ed i 60 mesi si presentano: r, gn, gli ed i gruppi consonantici semplici con sp, st, sk
    • Tra i 60 ed i 72 mesi, il bambino acquisisce la corretta pronuncia dei gruppi consonantici complessi: rf, mb, nt, ecc.
    • Oltre i 72 mesi è in grado di produrre parole complesse con più di quattro sillabe.
  • La letteratura internazionale sostiene che se a 24 mesi il bambino possiede un vocabolario espressivo composto da meno di 50 parole, è possibile ipotizzare già un ritardo nell’acquisizione del linguaggio, anche in assenza di patologie neurologiche, sensoriali o cognitive.
  • Se dai 30 mesi il bambino non è in grado di attuare delle combinazioni tra parole (ovvero accostamenti bi- e poi tri- termine
  • Ridotto utilizzo di accostamenti bi- o tri-termine dai 30 mesi in poi ed assenza o ridotta formulazione di frasi minime o nucleari (cioè la SVO, la frase composta da soggetto-verbo- complemento oggetto).

I bambini con difficoltà linguistiche sin dalle prime fasi di sviluppo vengono definiti in letteratura in una varietà di modi: late talkers o parlatori tardivi, late language emergence, early espressive language delay, ecc. La confusione terminologica riflette il fatto che il termine parlatore tardivo non costituisce un’etichetta diagnostica, soprattutto se si pensa che alcuni bambini, senza essere sottoposti a trattamento abilitativo diretto, rientrano in seguito ad indicazioni nei normali range di sviluppo del linguaggio.

In presenza di uno dei suddetti indicatori, tuttavia, si può ipotizzare un ritardo nello sviluppo del linguaggio del proprio bambino: è pertanto consigliato al genitore di intervenire, per aiutare il bambino, chiedendo una consultazione presso un logopedista, che si avvale di metodologie idonee, utili ad accertare che non ci siano altre problematiche (es. deficit sensoriali o neuropatologici), che blocchino l’acquisizione linguistica, oltre che atte a stimolare e migliorare le competenze linguistiche del minore.

Questa figura professionale, attraverso specifiche osservazioni e test sullo sviluppo linguistico, è in grado di verificare e progettare insieme ai genitori l’intervento migliore per favorire l’acquisizione linguistica del bambino. Il percorso abilitativo, infatti, può variare da individuo a individuo:

  • Si potrebbero dare delle semplici indicazioni ai care-givers, per lavorare a casa su alcuni aspetti e programmare dei follow-up, per verificare gli obiettivi prefissati (ad esempio, se si è sviluppata la lallazione oltre all’uso preponderato della mimica e della gestualità, se è emersa la parola dopo una fase di lallazione prolungata, ecc.).
  • Si potrebbe ipotizzare un piano di intervento diretto ai genitori, con counselling familiari periodici, per dare indicazioni pratiche ai genitori, da attuare nel contesto familiare per incentivare l’espressività del bambino.
  • Si potrebbe ipotizzare l’avvio di una terapia abilitativa diretta sul bambino ed indiretta sui genitori, volta ad incoraggiare lo sviluppo linguistico.

Come riconoscere un ritardo di linguaggio (da 3 a 6 anni circa)

Il periodo dai 3 ai 6 anni è quello caratterizzato dal maggior sviluppo globale nel profilo evolutivo di un bambino: in questi anni i bambini fanno scoperte e conquiste straordinarie in tutti gli ambiti di sviluppo, anche grazie al loro ingresso nel mondo della scuola.

Relativamente al problema comunicativo-linguistico, è innanzitutto necessario specificare che non tutti i bambini con una difficoltà di linguaggio nei primi anni di vita svilupperanno sicuramente un disturbo di linguaggio: esistono, infatti, i cosiddetti late bloomes, che riescono a recuperare entro i 36-40 mesi circa quel gap di discostamento da un profilo evolutivo fisiologico per quel che concerne il linguaggio.

I parlatori tardivi, ovvero late talkers, invece, sono quegli individui che presentano un ritardo di linguaggio, che può evolversi in un disturbo primario di linguaggio ed addirittura sfociare più avanti in una difficoltà di apprendimento.

Tra i 3 ed i 5 anni, dunque il problema linguistico solitamente si stabilizza in un bambino, andando a caratterizzare uno o più livelli in cui è suddiviso il linguaggio. Si parlerà allora di:

  • Alterazione pragmatica (se fossero coinvolti i prerequisiti per attuare uno scambio comunicativo, l’alternanza comunicativa, l’intersoggettività);
  • Deficit fonetico-fonologico (qualora venisse intaccato l’ambito dei suoni del parlato, in comprensione e/o produzione);
  • Alterazione semantico-lessicale (se è coinvolto il bagaglio lessicale in produzione o le rappresentazioni semantiche inglobate in comprensione);
  • Deficit morfo-sintattico (se vi fosse una difficoltà nel comprendere e/o produrre varie tipologie di frasi, in base all’età anagrafica);
  • Alterazione narrativa (qualora il bambino non fosse in grado di comprendere o creare una storia, fatta da varie strutture frasali associate tra loro).

In questa fascia d’età è più facile per un adulto captare degli indici di rischio, poiché l’espressività verbale diventa più frequente e perché oltre ai genitori ruotano attorno al bambino varie agenzie educative, prima fra tutte la scuola, che può aiutare i care-givers a segnalare peculiarità e/o difficoltà comunicativo-linguistiche nel singolo bambino.

Oltre a ciò, essendo il linguaggio un sistema localizzato in più parti del nostro cervello e collegato con altri sistemi e funzioni di vario tipo, è necessario indagare sempre le funzioni neuropsicologiche e psicologiche. Soprattutto verso i 4-5 anni di età, si consiglia di mantenere sotto controllo anche le funzioni neuropsicologiche, poiché spesso un disturbo del linguaggio comporta un difetto di natura secondaria sulle, cosiddette, funzioni esecutive o di controllo (es. attenzione, memoria, problem solving, pianificazione, ecc). Nella maggior parte dei casi risulta importante differenziare una difficoltà linguistica da un ipotetico disturbo d’attenzione verbale, perché gli obiettivi di intervento e le metodologie di stimolazione potrebbero differenziarsi ed integrarsi, al fine di abilitare specifici “domini”.

Verso i 5-6 anni, inoltre, risulta sicuramente importante essere già intervenuti ed aver già attuato una buona abilitazione nello sviluppo del linguaggio, al fine di ottenere un linguaggio il più possibile sovrapponibile a quello acquisito fisiologicamente da un bambino con evoluzione tipica. Questo risulta importantissimo, perché un buono sviluppo linguistico è alla base di un corretto sviluppo delle competenze metafonologiche, cioè le abilità legate al saper “giocare” con le parole del linguaggio parlato – ad esempio il saper differenziare le sillabe che compongono la parola “pane”, dunque PA-NE, per poi arrivare successivamente a differenziare i suoni che compongono il medesimo termine, quindi P-A-N-E.

Queste abilità di base, o prerequisiti, sono gli aspetti dello sviluppo individuale che preparano ogni bambino ad affrontare gli apprendimenti veri e propri della scolarizzazione primaria, ovvero la letto-scrittura, il calcolo e la motricità fine. Uno scorretto sviluppo linguistico e/o una deficitaria acquisizione delle competenze metafonologiche sono le cause primarie di una successiva difficoltà o disturbo negli apprendimenti scolastici – i DSA– Disturbi Specifici dell’Apprendimento – durante la scuola dell’obbligo.

Pertanto, è fondamentale rilevare precocemente la mancata o scorretta acquisizione di abilità linguistiche e/o metafonologiche, al fine di predisporre adeguate strategie di recupero ed evitare la possibile insorgenza o la conseguente presenta di un disturbo di apprendimento durante la scolarizzazione primaria o secondaria.

Sono ormai piuttosto diffusi i casi in cui si scopre troppo tardi il ritardo nello sviluppo linguistico. L’impossibilità di intervenire tempestivamente impedisce di risolvere le problematiche su uno o più livelli del linguaggio in tempi abbastanza fisiologici, con ripercussioni negative sia sulle funzioni neuropsicologiche sia sugli apprendimenti successivi, richiedendo così un intervento specialistico di maggior entità e durata.

Cosa fare?

Risulta importante essere dei genitori attenti sin dalla tenera età dei propri bambini, tenendo in considerazione quelle che sono le tappe di sviluppo fisiologico. Oltre a ciò è di fondamentale importanza avere un confronto costante con le altre agenzie educative, soprattutto con gli Insegnanti del Nido o dell’Asilo d’Infanzia, per monitorare costantemente l’evoluzione del proprio figlio sia da un punto di vista specifico sia da un punto di vista globale, oltre che individualmente e nel gruppo dei pari.

Qualora si notassero delle peculiarità o difficoltà di sviluppo comunicativo e linguistico, è consigliato consultare un logopedista, figura di riferimento per la prevenzione, la valutazione ed il trattamento abilitativo-riabilitativo delle difficoltà comunicativo-linguistiche.  Mediante il confronto con gli adulti di riferimento e l’osservazione del bambino è in grado di individuare le modalità di intervento più idonee per bypassare o limitare le difficoltà specifiche comunicativo-linguistiche evidenziate.

La logopedia non è solo abilitazione in seduta, ma è anche condivisione di indicazione pratiche ai genitori, che vivono quotidianamente il minore e le sue esperienze in contesto ecologico. Questo permette alla famiglia di trovare delle soluzioni personalizzate e ad hoc per aiutare il proprio bambino.

D’altro canto, per un logopedista risulta di fondamentale importanza ottenere la collaborazione dei genitori, per assicurare la massima efficacia al percorso abilitativo progettato, in seguito ad una prima fase di valutazione del bambino: un genitore ben formato e preparato ad attuare precise strategie ed esperienze d’acquisizione a casa per il suo bambino può infatti fare la differenza all’interno di un percorso logopedico di stimolazione comunicativo-linguistica.

Dopo i 3 anni

Quello dai 3 a i 6 anni è il periodo in cui bambini fanno scoperte e conquiste straordinarie in tutti gli ambiti di sviluppo e fanno anche il loro ingresso nel mondo della scuola. In alcuni casi, però, a questa età si manifestano segnali rispetto a possibili difficoltà dell’apprendimento, collegate a problemi di sviluppo del linguaggio (comprensione, produzione, articolazione, sviluppo del lessico) che possono essere colti da un maggior numero di persone anche esterne all’ambito familiare. Il logopedista può, quindi, aiutare sia i genitori, sia gli insegnanti e gli operatori sociali a individuare e migliorare alcuni aspetti del linguaggio del bambino che risultano carenti e riconoscere precocemente difficoltà di lettura, scrittura, comprensione e calcolo.

Il logopedista, attraverso la sua esperienza e l’osservazione del bambino, è in grado di individuare le modalità di intervento più specifiche per ampliare il vocabolario del bambino e migliorare la sua capacità espressiva.

La logopedia permette ai genitori di avere delle soluzioni personalizzate per aiutare il proprio bambino, non soltanto con tecniche rivolte all’espressione del linguaggio, ma anche con attività di tipo manuale come ad esempio le attività bimanuali: il bambino è stimolato a utilizzare entrambe le mani, con attività quali tagliare un foglio con delle forbici oppure svitare il tappo di una bottiglia.

Le conseguenze di un intervento tardivo

Sono piuttosto diffusi i casi in cui si scopre troppo tardi il ritardo nello sviluppo del linguaggio. L’impossibilità di intervenire tempestivamente impedisce di risolvere le problematiche precocemente. In questo modo si inserisce il bambino a scuola, dell’infanzia o dell’obbligo, con le sue difficoltà linguistiche che potrebbero avere ripercussioni sul suo apprendimento.

Il ritardo del linguaggio si può ripercuotere negativamente anche sulla scrittura e sulla lettura del bambino.

Una maestra che si accorge subito del problema deve informare la famiglia, che deve intervenire con le eventuali procedure di verifica per stabilire il grado di difficoltà del bambino e, insieme ad uno specialista del settore, attuare le strategie idonee.

 


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